Un punto di vista diverso, da parte di chi, con i/le bambin*, ha a che fare tutti i giorni.

Questo articolo è stato scritto da Letizia, docente di ruolo di scuola primaria.

La sua storia l’ha scritta proprio per esprimere la sua visione nei confronti dei bambini con cui ogni giorno interagisce, offrendo spunti di riflessione molto interessanti.

Presentazione.

Mi chiamo Letizia e sono, finalmente, una docente di ruolo di scuola primaria.  

La mia esperienza lavorativa con i bambini inizia più di 13 anni fa quando, durante gli studi, decisi di fare un anno di servizio civile per una cooperativa che offriva una serie di servizi di natura sociale a famiglie svantaggiate.  

Ho sempre desiderato lavorare con i più piccoli ma, in quella occasione, capì davvero che sarebbe stata la mia missione di vita.  

Successivamente lavorai come maestra d’asilo nido e scuola dell’infanzia, per arrivare poi all’istituto statale ed alla primaria dove mi sono fermata col desiderio di rimanere.  

La mia esperienza non è temporalmente molto estesa, ma posso comunque dire di aver notato notevoli cambiamenti nei bambini con l’avvento di questa digitalizzazione. 

Digitalizzazione, qualche lato positivo.

Partirei dai lati positivi che riguardano il mio lavoro: l’arrivo delle LIM (lavagne interattive multimediali) dentro le classi, strumento veramente innovativo con la possibilità di aprire un universo didattico, rendendo magica e interdisciplinare una semplice lezione.  

Lo stesso dispositivo offre la possibilità di girare il mondo con un clic; si può catturare l’attenzione dei bambini anche con maggiori difficoltà grazie a video, canzoni, documentari o semplicemente immagini e foto che permettono di associare la comunicazione scritta a quella iconica. 

I lati negativi.

Il vero problema di questa grande digitalizzazione, è che la tecnologia è entrata così tanto nella nostra vita da diventare molto spesso la balia dei nostri cuccioli.

È il modo più semplice ed immediato per impegnarli, per calmarli, per spegnere la loro naturale curiosità e vivacità in modo tale che “non rompino le scatole”; brutta espressione ma altamente veritiera.

Abbiamo sempre meno tempo e di conseguenza meno pazienza e dedizione nei confronti dell’impegno così grande e gravoso della crescita psicofisica dei nostri figli e delle nostre figlie.

Vedo bambini che non riescono nemmeno più ad interagire l’un* con l’altr*, non sanno più fare a giocare assieme seguendo delle semplici regole e non riescono a confrontarsi perché l’unica cosa con la quale hanno un raffronto è lo schermo di un computer, di un tablet, di una TV o di un cellulare.

Di fronte ad uno schermo.

In quelle occasioni sono loro a comandare, a gestire la situazione, interagiscono con un qualcosa che non può rispondere, obiettare ed ecco la mancata capacità di gestire i conflitti e frustrazioni nella vita reale.  

Non riescono ad esternare desideri ed emozioni perché non sono abituati a riconoscerle e viverle.

A volte sembrano davvero inebetiti ed impassibili davanti a qualsiasi stimolo.

Le nuove classi.

Non sono una professionista, ma ultimamente in ogni classe, circa la metà dei bambini presenta sintomi di DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), BES ( bisogni educativi speciali), diagnosi cliniche ed alcun* sono in cura da psicologi per disturbi emotivi.

Mi chiedo come mai questa esponenziale crescita di minori in difficoltà e credo che, tra i tantissimi fattori, la digitalizzazione sia uno di quelli, soprattutto se usata in modo eccessivo e malsano che crea dipendenza e inibisce ogni reattività.

Ai bimbi d’oggi manca il saper far gruppo, gestirsi da soli, rendersi autonomi, mettere in atto semplici attività di problem solving che ognuno di noi faceva inconsciamente giocando nel rione del paese da piccolo.

Il mio punto di vista.

Questo è solo il piccolo punto di vista di una persona che ama i bambini e li vorrebbe vedere più felici. 

Una persona che crede fortemente in una didattica prima di tutto emozionale, perché solo sapendo dare un nome a ciò che provo, lo posso riconoscere e viverlo prima che questa emozione “viva” me e prenda il sopravvento.

Eppure questa nuova generazione non sa dare un nome ad una emozione, non sa spiegare ciò che prova questo perché, spesso, i bambini vengono redarguiti da noi adulti che diciamo loro frasi del tipo: “Non devi essere arrabbiato, calmati!” oppure “Non piangere, un bimbo grande non si comporta così “.

Facendo così, neghiamo loro la possibilità di emozionarsi, di provare e di sentire.

Se non insegniamo loro che non c’è nulla di inadatto o sbagliato nel provare anche un emozione negativa instilleremo già in loro il senso di colpa.

Tenteranno sempre di nascondere o mascherare ciò che sentono per non perdere l’approvazione nostra e della società (che attraverso i mezzi di comunicazione ci vuole tutti uguali e incolori), fino a diventare una pentola a pressione emozionale, che arriverà a scoppiare con comportamenti altamente disfunzionali e distruttivi principalmente verso loro stessi, ma anche nei confronti del mondo adulto.

Accogliamo i nostri piccoli, sono il futuro, dobbiamo credere in loro.

Compito di ogni figura educante è insegnare loro a pensare e non a come farlo. Dar modo ad ognuno di trovare la propria via, il proprio talento, valorizzando l’unicità di ognuno.

Diamo loro voce, ascoltiamoli anche quando è sera e veniamo da una lunga giornata di lavoro, loro hanno bisogno di questo, di noi e non di un gioco “ammazza tutti “che li tenga occupati e in silenzio.

Troviamo del tempo positivo per costruire legami saldi e veri.

Non lasciamo che il virtuale divenga la loro realtà. 

Immagine di copertina: Assorted activity playset, Photo by Markus Spiske on Unsplash

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